But I will hold on hope and I won’t let you choke on the noose around your neck
And I’ll find strenght in pain and I will change my ways, I’ll know my name as it’s called again
Da sempre sono ossessionata dall’idea di dimenticare, scrivo diari, mi appunto sensazioni sul retro degli scontrini per non perdere pezzi di me. Col tempo, ho imparato a ricostruire i ricordi in modo tanto convincente da riuscire a ignorare che sono parte del passato. Non è un’abilità sana né invidiabile, me ne rendo conto. Il Giappone, soprattutto dall’estate in poi, è stato l’unico momento della mia vita in cui ho vissuto soltanto nel presente, in un edonismo emotivo sfrenato nel quale non esistevano più ieri né domani.
Come ho letto in questo post bellissimo, ci sono ricordi che aprono mondi. Sono così vividi e reali che basta chiudere un attimo gli occhi per avere l’illusione di essere proprio lì, immersa di nuovo in quel mondo parallelo – non era lo stesso in cui sto vivendo ora, ne sono certa, e quasi vorrei continuare a tenerli serrati all’infinito. Di più, sono punti di partenza da cui ricostruire qualcosa. Potrei pensarci per ore e giorni, trovarne altri mille, ma per ora queste sono le mie capsule del tempo.
Il tragitto in bicicletta verso scuola era il momento in cui, ascoltando Billie the Vision and the Dancers o Trouble will find me dei National, mi preparavo a riprendere i contatti con il mondo. In testa avevo sempre tanti pensieri, organizzavo mentalmente la mia giornata e cercavo di venire a capo dei mille casini che stavo combinando. Il tratto in cui pedalavo accanto al Nijo-jo, per qualche ragione, me lo raffiguro sempre in estate: il sole già caldissimo delle otto e mezza, io in pantaloncini e All Star e dentro una felicità sfolgorante, che mi riempiva il petto tanto da farmi credere che sarei esplosa. Sorridevo da sola e cantavo, pregustando il momento in cui, svoltando su Horikawa, sarei passata davanti al signore che ogni mattina si inchinava e diceva Ohayou gozaimasu (buongiorno) a tutti i passanti, avrei ricambiato il suo saluto con un cenno della testa, e gli sarei stata infinitamente grata per quel suo lavoro deliziosamente superfluo, eppure in grado di farmi sentire bene ogni volta, ogni giorno.
The Cave dei Mumford & Sons, sono quasi certa, l’aveva scelta Dennis. Non l’avevo mai sentita, me ne innamorai. L’abbiamo cantata tante volte tutti insieme, con Pontus, Miguel, Maria e Dan; l’ho fatta conoscere a Simon che aveva (ha?) una playlist intitolata “Elena” su Spotify, e quando la ascolto ci immagino ancora tutti abbracciati, a cantare nello stesso microfono, io e queste persone che mi hanno accettata e sopportata e mi hanno considerata degna della loro amicizia come nessuno aveva fatto prima, e The Cave è quanto di più vicino ci sia a un inno al bene infinito che provo per loro.
Lo conoscete, voi, quel gioco in cui quando si vede una macchina gialla si dà un pugno all’amico più vicino? A quanto pare esiste anche in Corea, ma non è questo il punto. Tra me, Dan e Simon per tre mesi è stata guerra aperta. Dato che sono una persona vagamente competitiva ho finito per sviluppare una sorta di yellow radar e ho memorizzato la posizione e le abitudini delle macchine gialle (ve lo giuro), vincendo il titolo di campionessa intercontinentale a suono di ett, två, tre, fyra (perché nel frattempo ho imparato a contare in svedese). Anche ora le macchine gialle mi fanno scattare sull’attenti.
Poco dopo il mio arrivo ha iniziato a riempire la città un profumo dolcissimo, che pervadeva l’aria e le narici diventando parte di tutti i primi ricordi giapponesi. Quando, per la seconda volta, annusai la kinmokusei mi resi conto che era passato un anno, e io ero ancora a Kyoto.
Uji, il primo luogo in cui sentii profumo di kinmokusei |
Pontus che mescolava le carte mi faceva sempre andare in brodo di giuggiole, ogni volta ero felice come una bambina. Con l’abilità di un croupier divideva il mazzo a metà e lo riuniva con dita veloci, mentre io lo imploravo “Do it again! One more time, just one more time!” e lui, che è una delle persone più dolci che abbia mai conosciuto, non mi diceva mai di no. Anche se sono infantile e irritante, se lo chiedete a lui vi dirà sempre che sono una ragazza adorabile, e una delle amiche migliori che abbia mai avuto.
Il mio appartamento al tramonto, col sole che piano piano si inabissava giù dietro alle montagne di Arashiyama, era inondato da una luce calda e accogliente, che mi avvolgeva mentre studiavo. A volte mi fermavo a guardarla, altre lasciavo che svanisse a poco a poco percependola come una presenza abituale e discreta, che sapeva di casa.
Le movie night da Dan sono nate per assecondare la mia esigenza a guardare dei film e guardarli in compagnia (se qualcuno se lo stesse chiedendo, sì, ero la dittatrice del gruppo). La sera della partenza di Pontus abbiamo guardato Spring Breakers. La scena di Everytime – play something fucking inspiring – mi ha lasciata secca e per giorni, dopo, ho ascoltato in loop, mio dio, quel brano di Britney Spears. Ho rivisto la scena e riascoltato il pezzo mentre scrivevo, e non ho mai avuto la sensazione di essere sbalzata indietro nel tempo come ora.
I giorni intorno alle vacanze per l’obon sono stati pieni di una gioia di vivere tale da farmi quasi male. Ho visto i fuochi d’artificio riflettersi sul lago Biwa, e la sera dopo di nuovo sulla mia amata Uji, indossando uno yukata verde bellissimo e scomodo come l’inferno. Abbiamo mangiato kakigoori (granite) comprati a una bancarella, mentre l’aria ancora non accennava a rinfrescarsi.
Siamo andati al karaoke per festeggiare il compleanno di Simon, e poi Tomoko ci ha caricati in macchina e portati su su oltre Kurama, dove la notte è davvero nera e bisogna guidare piano perché i cervi – decine di cervi – passeggiano tranquillamente ai bordi della strada. Nessuno di loro sapeva che a San Lorenzo ci sono le stelle cadenti, così ho insistito. Non so nemmeno quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che avevo visto la Via Lattea, e poi una dopo l’altra le meteore si sono lasciate contare da noi che stavamo a testa in su in mezzo a una foresta chissà dove a nord di Kyoto.
Siamo andati al mare, mi hanno persino convinta a fare il bagno nonostante il mio terrore per le meduse. Ero l’unica in costume, le donne giapponesi difficilmente si scoprono, nemmeno in spiaggia. Abbiamo portato un cocomero e i bambini lo hanno rotto colpendolo a occhi chiusi con un bastone.
Infine, la meraviglia dei grandi kanji infuocati su cinque montagne intorno a Kyoto, per il festival di Daimonji. Se avete presente l’estate giapponese degli anime, ecco, faticavo a crederci anche io, ma quei cinque giorni sono stati esattamente così, accompagnati dal verso delle cicale. Solo che io ero un po’ più adulta dei protagonisti di quelle storie, e col cuore traboccante di un amore che credevo mi avrebbe mozzato il respiro.
Lo sai che, finito di leggere il tuo post, ho le lacrime agli occhi e il cuore traboccante di felicità per te, per me, per i miei ricordi del Giappone, quelli nuovi di qualche settimana fa e quelli vecchi di quasi due anni fa???? E' strana questa sensazione dolce amara...penso che somigli molto alla saudade brasiliana.
RispondiEliminaBellissimo post!!! Tieni stretti i tuoi ricordi, spesso sono la base per resistere e fare nuove cose! In bocca al lupo per una vita bellissima!!!
Se hai tempo e voglia ti lascio il link del reportage dell'ultimo viaggio che ho fatto:
http://www.animeclick.it/news/38834-reportage-5-viaggio-in-giappone-di-animeclickit/
Che belle parole Hachi, ti ringrazio! Mi fa piacere che i miei ricordi ti siano arrivati e abbiano risvegliato i tuoi, e ti auguro di poter tornare presto da quelle parti per crearne di nuovi.
EliminaHai ragione, credo anche io che la saudade sia molto simile a questo sentimento di nostalgia a volte dolce, a volte dolorosa.
Ancora grazie, i tuoi commenti mi scaldano sempre il cuore. Un abbraccio.
P.s. appena ho un attimo leggo il tuo reportage, non vedo l'ora di guardare le foto dei sakura e scoprire dove siete stati!
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RispondiEliminaCapisco.
EliminaSarà che lo suggerisci tu stessa, ma, leggendo, sembra davvero di immergersi in un anime pieno di colori. Hanabi, Obon, lo yukata verde e le cicale: a me è scattata l'immagine di Hanasaku Iroha, così, d'istinto!
RispondiEliminaI ricordi sono una parte importante di noi. Aiutano sempre a restare a galla, come un porto sicuro, da cui ripartire, alla ricerca di quello che splendidamente definisci "edonismo emotivo sfrenato" della quotidianità. Guardando sempre avanti.
Credo sia a quello che si debba tendere. Quello, che sono certo ritroverai presto.
Ciao
Sembrava pazzesco anche a me che, per una volta, la vita fosse davvero così simile alla finzione. Per tante cose gli anime abbelliscono la realtà ovviamente, ma quei pochi giorni d'estate secondo me anche per i giapponesi sono proprio così, tra i vari festival e i fuochi d'artificio.
EliminaI ricordi, sia quelli positivi che quelli negativi, insegnano tanto e non bisogna perderli, anche se fanno male. L'edonismo di quel periodo non è stato del tutto positivo per varie ragioni, ma come dici tu bisogna sempre guardare avanti.
Ti ringrazio molto per le tue parole, a presto!
Un fiume in piena questi ricordi, è stato bellissimo leggere questo post.
RispondiEliminaIl rapporto con gli altri era una delle cose che ti spaventavano di più e invece sei riuscita a trovare tanti amici con cui condividere la tua esperienza in Giappone. Anche se ci tieni sempre a sottolineare i tuoi difetti io credo che tu abbia davvero un bel carattere.
E mi sono trattenuta, quando ho dato il via ai ricordi sono stata travolta da mille immagini. Sono felice ti sia piaciuto.
EliminaIl rapporto con gli altri è una delle cose che mi spaventa di più proprio in generale, il Giappone per mia fortuna è stata una parentesi estremamente positiva all'interno delle mie solite insicurezze. Ti ringrazio davvero tanto, in realtà ho molto di cui non andare fiera - magari ne parlerò più avanti - ma mi sto impegnando per migliorare.
Sono stata solo un mese, ma il tuo post mi ha riempito di nostalgia.
RispondiEliminaAnch'io sono una fanatica della memoria con il terrore di dimenticare, tengo un diario quasi giornaliero da 14 anni.
Spero sia quella nostalgia buona che chissà, magari ti darà la voglia di fare un viaggetto da quelle parti :)
EliminaWow, ci vuole tanta costanza a tenere un diario per 14 anni, però deve essere utile per capirsi meglio.
Non ho trovato il tempo di commentare prima questo post, ma è stato molto bello leggerlo: riesci a raccontare le sensazioni e i ricordi in modo così trasparente che pare di viverli sulla propria pelle.
RispondiEliminaSono felice di leggere queste parole, riuscire a trasmettere anche solo un briciolo di queste sensazioni a qualcun altro è una prova che le ho ancora ben vive dentro di me.
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