17/04/14

Recensione: Lost in translation, (quasi) amore nella metropoli

Lost in translation
Scarlett dentro, la città cattiva fuori
Avevo scritto una recensione del tutto diversa per questo film, ma intanto che la buttavo giù, ripensavo alle immagini e ai gesti, il mio sentire a poco a poco è cambiato e ho dovuto ricominciare da capo. Mentre la yamatologa che è in me scalciava imbizzarrita, la cinefila (parte altrettanto importante e indissolubilmente legata alla prima) razionalizzava e a poco a poco capiva le intenzioni della regista e mi costringeva a darle atto di un paio di cose. Ma partiamo dall'inizio.



Lo dico subito, così ci togliamo il dente: Sofia Coppola, secondo me, è un po' sopravvalutata. Le sue storie di belli, ricchi e tristi, per quanto elegantemente confezionate e impacchettate con cura, non mi hanno mai emozionata. Sofia è la quintessenza del radical chic, una figlia d'arte che ha i mezzi per fare dei bei film, ma non ha abbastanza cuore, o intuizione, per mirare a film davvero grandi (al contrario dell'ex marito Spike Jonze, fine della digressione). Ho riguardato Lost in translation dopo tanti anni, ma c’è qualcosa che mi ha reso la visione quasi fastidiosa.

Lost in translation


Bob e Charlotte (Bill Murray e Scarlett Johansson, entrambi bravissimi), un attore di mezza età e una giovane fresca di laurea in filosofia, si incontrano a Tokyo e in pochi giorni si avvicinano fino a toccare l’altro nel profondo, complice la solitudine in un Paese che non comprendono e le difficoltà di comunicazione nel matrimonio di entrambi.

Lost in translation

Ciò che davvero è lost in translation, intraducibile, sono le emozioni che i personaggi non sanno esprimere nemmeno a se stessi, le insoddisfazioni per rapporti svuotati di sentimenti a cui non sanno rinunciare, per paura o abitudine. Sarebbe potuto accadere ovunque, ma è più facile a tanti chilometri da casa, in mezzo a persone che parlano una lingua apparentemente senza senso, soli in una città smisurata in cui ci si sente piccolissimi e persi. Il tempo si dilata, pochi giorni valgono come settimane e mesi, l’intimità diventa semplice.

Lost in translation
Parole santissime
La Coppola gioca l'asso, piazza i protagonisti a Tokyo, metropoli conosciuta da tutti ma esotica e inaccessibile ai più, e la scelta è in parte una posa, in parte un modo per sfoggiare le proprie abilità registiche, e in parte un'azzeccata quanto semplificante scelta narrativa per mostrare due persone isolate dal mondo che li circonda, impossibilitate a comunicare e destinate a trovare nell'altro l'unico interlocutore a cui rivolgersi.
Quello che mi ha fatta sbuffare per tutta la visione è la rappresentazione piena di stereotipi del Sol Levante e dei suoi abitanti, sberleffo continuo impregnato di un senso di superiorità immotivato e di un'accondiscendenza tutta americana da cui traspare l'incapacità totale di relazionarsi a una cultura diversa. La Coppola fa centro nella caratterizzazione degli stranieri – ignoranti – in Giappone, accatastando luoghi comuni uno sull’altro, e raffigurando Tokyo come una città aliena abitata da forme di vita bizzarre.

Lost in translation
 
Il suo sguardo coglie alla perfezione la splendida luce e i colori cangianti di Shibuya e Shinjuku, lo stupore negli occhi dei protagonisti, ma non va in profondità e galleggia senza immergersi nemmeno per un istante nella vera natura di una delle più sorprendenti capitali del mondo.

Lost in translation
Nel tratteggiare la relazione tra i protagonisti, aiutata dalle performance degli attori, Sofia riesce a cogliere con discreta precisione quell’istante unico in cui una conoscenza casuale rischia di diventare l’Incontro, quello in grado di cambiare tutto, ma poi non accade.

Il momento più toccante e vivo della pellicola, reso in modo dolorosamente credibile e capace di riaprire in me ferite ancora fresche, è quello del distacco finale – due corpi immobili in mezzo al brulicare della metropoli, un ultimo sguardo posato su qualcuno che forse non rivedremo più, un bacio che sa di sconfitta e parole sussurrate col groppo in gola, che domani non significheranno più nulla. Gli addii, al solo pensarci, mi devastano.

Lost in translation

E per dare il colpo di grazia Sofia, che con la musica ci sa fare, ci piazza a tradimento Just like honey dei The Jesus and Mary Chain, che sembra fatta apposta per abbracciare i grattacieli che si svegliano, e quasi quasi facciamo pace, io e questo film.

10 commenti:

  1. Io dovrei riguardarlo questo film, mr. Fedo dice che lo si gode di più la seconda volta perché a molti, la prima visione, non piace. Io l'ho trovato un film "pesante" ma bello, che ha senso proprio per questa pesantezza, e come dici tu questo sentirsi persi. Non ho mai visto Tokyo, per cui mi affido al tuo giudizio per quanto riguarda il background, ma credo sia proprio il luogo giusto dove doveva essere ambientato il film nella visione della regista e di un pubblico occidentale.
    Per ora mi è piaciuto anche se non ho ancora avuto la voglia di rivederlo... Ti dirò quando sarò alla prossima visione come te :-)

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    1. Sono d'accordo sul fatto che alla seconda visione si colgano più elementi che alla prima passano forse inosservati, ed è proprio la ragione per cui non ce l'ho fatta a bollarlo come "film da odiare". Da un punto di vista occidentale la scelta di Tokyo come ambientazione è azzeccatissima, però se a guardarlo è qualcuno che conosce e ama il Giappone credo che una sensazione fastidiosa per alcune scene sia quasi inevitabile.

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  2. Concordo in pieno con il tuo giudizio sulla Coppola, trovo molti dei suoi film occasioni mancate. Questo è uno di quelli che mi è piaciuto di più anche se sicuramente dovrei rivederlo, perchè all'epoca non avevo ancora la "scimmia" del Giappone e in particolare di Tokyo ;) Però quell'idea di una visione di questo paese e dei suoi abitanti molto superficiale la provai anche allora, quindi direi che mi trovo d'accordo con la tua analisi :)

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    1. Anche io trovo che questo sia uno dei suoi film più riusciti (anche se gli ultimi due non li ho mai guardati, quindi il mio giudizio non è oggettivo). In generale però lei non mi colpisce mai, mi sembra non riesca mai ad andare a fondo. Forse ora che sei così appassionata del Giappone è meglio che non lo riguardi, per non rovinarti il ricordo che hai dalla prima visione! :)

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  3. Credo che Sofia Coppola sia sopravvalutata, lo dico da sempre. Questo non significa che fa film brutti, a volte anzi è abbastanza brava da farmi credere che un film mi sia piaciuto, poi lo riguardo e penso che mi ha fregata di nuovo.

    Detto ciò, questo film l'ho amato, poi odiato, poi rivisto di nuovo.
    Non mi ci posso immedesimare perché io quella città me la sarei divorata centimetro per centimetro, invece lei la guarda dietro la finestra (e nemmeno la apprezza), in un atteggiamento un po' snob per i miei gusti. Vivere la solitudine per me significa anche e soprattutto perdermi tra le strade (di qualsiasi città del mondo) invece lei non si muove.
    E quando finalmente escono da quell'albergo vedono una Tokyo divertente e spaventosa, che sembra quasi dar loro ragione che era meglio restare al sicuro nel loro hotel di lusso a bere cocktail.

    Nonostante tutto, ogni volta che passa lo riguardo. E' strano no?

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    1. Non avrei saputo dirlo meglio: ecco, Sofia Coppola è una che ti frega! Ogni tanto viene voglia di riguardare i suoi film, che a distanza di tempo dalla visione per qualche ragione lasciano un ricordo positivo, e poi alla fine mi chiedo "Ma chi me l'ha fatto fare?".
      La passività della protagonista è un aspetto che anche io faccio fatica a comprendere, avrebbe potuto arricchire la sua permanenza in mille modi se solo avesse agito, invece di guardare tutto dall'alto con l'atteggiamento della povera principessina abbandonata nel suo castello.

      Non trovo sia strano che tu lo riguardi ogni volta, a dire il vero: quello in cui la Coppola riesce abbastanza bene è cogliere la bellezza della metropoli, e per un'amante di Tokyo come te rivederla deve essere sempre una tentazione irresistibile.

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  4. L'ho visto solo una volta e magari mi sono persa qualcosa, ma direi che concordo.

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    1. A mio parere questo è uno di quei film per cui una visione basta e avanza, io a volte li riguardo perché me li dimentico. :)

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  5. Personalmente non mi considero un'esperta di Giappone e cultura giapponese, ma quando mi capita di vedere qualcosa di americano che parla di Giappone, per quanto possa essere ben fatto e magari con una veste grafica impeccabile, spesso trovo che non riesca a superare l'aspetto esteriore di ciò che sta raccontando. Questo film non l'ho visto (mi mancano un sacco di film ormai classici) ma quelle che descrivi nella recensione sono sensazioni che mi è capitato di provare tante volte davanti ad un film americano che parlasse o fosse ambientato in Giappone ^^

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    1. In realtà con tutti gli anime e manga che guardi e leggi credo tu sappia molto più di quanto immagini sul Giappone! In ogni caso gli americani hanno questo difetto più o meno ogni volta che si approcciano a un'altra cultura, col Giappone poi in particolar modo perché erano i grandi nemici durante la guerra, e poi sono diventati un po' i loro protetti, quindi forse da quello deriva l'atteggiamento di superiorità. Cerco di evitare le produzioni del genere, perché finisco per arrabbiarmi inutilmente ogni volta!

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